"io scrivo": una di quelle frasi piccole che si portano dietro troppo. io scrivo perchè ne ho bisogno. sono grafomane, non posso farne a meno. come la droga. una di quelle cose che se non ce l'hai vai in crisi.

giovedì 29 aprile 2010

Paolo

quando avevo 17 anni ho incontrato quello che credevo sarebbe stato l'uomo della mia vita. lo conobbi al corso di danza, avevamo gli stessi orari. era un anno più piccolo di me. all'inizio non mi importava proprio niente di lui poi...senza spiegazione alcuna mi innamorai come una pera. sperando di averlo per passarci insieme tutta la vita.
in realtà, tutti sono uomini della tua vita a quell'età. 
ero piccola e ingenua, e come tutti gli adolescenti mi sono innamorata violentemente di quell'amore di cui solo in quegli anni si è capaci. 
ovviamente le cose non sono andate come mi aspettavo, infatti, dopo un paio d'anni la nostra storia finì. 
soffrii incredibilmente di un dolore così forte che credevo mi avrebbe uccisa. 
ma il fatto che io sia qui a parlarne dimostra che la vita continua e che le cose cambiano e si impara a farsi una ragione di tutte le disgrazie che ci capitano. 
però la perdita dell' "amore della mia vita", fu lo stesso un colpo davvero terribile. e come tutte le ragazze mi convinsi di essere stata presa in giro, e che tutto quello che lui mi aveva detto nel tempo passato insieme era falso e non valeva niente. 
mi ci volle molto tempo per capire.
solo a distanza di qualche anno mi resi conto di quanto fui cattiva perchè in quel periodo cercai di vendicarmi in tutti i modi, scrivendo cose terribili in modo che potesse star male almeno una piccola percentuale di quanto stavo male io (anche a quel tempo avevo un blog, che è stato cestinato per motivi piuttosto comprensibili).
quando me ne resi conto gli chiesi scusa. 
poi è passato altro tempo, e altro ancora. 
e dopo sei anni mi sono ritrovata di fronte a reperti archeologici che avevo nascosto nella parte più remota della mia vita, mentendo a me stessa ancora una volta, certa del fatto che non li avrei più ritrovati.
e invece.
e invece eccomi qui quasi 25enne a leggere i bigliettini che ci scambiavamo quando eravamo in preda a tempeste ormonali che ci facevano pensare di stare vivendo dentro una favola. pur sapendo che le favole non esistono.
e dentro a quelle parole sbilenche e piene di errori di ortografia, ci leggo anche un'infinita tenerezza. ci leggo il "x sempre" di chi ancora non ha una precisa cognizione del tempo. 
ci intuisco il bisogno disperato di amore di un ragazzo disastrato e di una ragazza timida, che non conoscevano ancora l'amore. 
e capisco quanto quello che era poco più di un bambino, per qualche intenso momento della sua vita, creduto eterno, abbia veramente donato sé stesso a me. 
e mi rendo conto di quanto fui fortunata a innamorarmi di uno così, e non di uno stronzo qualsiasi, facile da incontrare a quell'età. anche se poi è dovuta finire. 
e sono felice che tutto questo faccia parte dei miei ricordi. 
ma nonostante la nostalgia di quell'amore così puro e sognatore, adesso sto diventando qualcuno che non avrei mai sognato di essere e che non sarei diventata senza che tutto questo fosse successo. 
perchè di lui non potrò dimenticarmi mai.

venerdì 23 aprile 2010

il mio primo tatuaggio

stavo proprio pensando al fatto che, circa 5 anni fa ero innamorata persa del mio tatuatore. 
così, come una pazza. 
certo, c'è da mettere in conto che 5 anni fa avevo 20 anni. e mi facevo il primo tatuaggio. e prendevamo una casa al mare da sole per la prima volta. e il mio primo amore mi aveva lasciato da poco e io ero sconvolta dall'accaduto. anche se ero in via di ripresa...
però insomma, ci eravamo conosciuti per caso. 
una mattina in un bar dove ci avevano portate a fare colazione, altri amici. 
sapete quando sentite addosso quegli sguardi che vi perforano? che sembra che chi vi guarda abbia il potere della vista a infrarossi. tanto potente da riuscire a farvi le lastre. 
io mi nascondevo dietro un paio di occhiali da sole Police con le lenti blu, ma non è che mi riuscisse così bene. 
il tizio era strano. 
aveva un braccio COMPLETAMENTE tatuato. dalla spalla fino al polso.
"se l'è fatto da solo, lo sai?"
"come da solo???"
"si si, è tatuatore! quelle sono le prove che ha fatto su di sé."
gulp. davvero? cioè, questo è tatuatore e per provare a fare bene le cose, ha cercato di capire prima se ci riusciva su di sé. caspita. 
e insomma, per circa due ore non aveva fatto altro che guardarmi. non è che veniva lì a parlarmi, a presentarsi. no. avevano dovuto essere gli altri a presentarci. poi.
e io non mi rendevo capace: a me? proprio io potrei mai piacere a un TATUATORE? nah. forse mi guarda perchè sono strana. non mi ha mai visto in questo paesino così piccolo e non capisce chi sono. semplice. 
poi però mi aveva cominciato a ronzare in testa un'idea balzana. 
ma se mi facessi un tatuaggio anch'io? dopotutto lo voglio da tanto. adesso glielo chiedo se ha un po' di tempo per me. 
insomma, ci ho messo mezza giornata a decidere. la sera stessa mi venne a trovare alla casa al mare dove ero con la mia amica, per parlarne, poi mi disse che dovevo mandargli il disegno. però continuava a guardarmi con quello sguardo strano. e aveva due occhi verdi che la metà sarebbe bastato. 
in fondo, non era poi così male. Gianluca. ecco come si chiamava. 
ed era alto. molto più alto di me. carnagione scura, il fisico prestante. madonnasanta. mi piaceva. ma ancora non capivo bene perchè e percome. 
insomma, erano rimasti gli ultimi due giorni di vacanza. e l'ultima sera avevano deciso di fare una festa per noi che ce ne stavamo andando.
bella gente i sardi. se gli piaci ti danno l'anima. 
il penultimo giorno sono andata a farmi il tatuaggio. il mondo intero mi aveva detto che avrebbe fatto un male cane, ma io non volevo crederci. poi però, quando mi sono seduta sulla sua sedia e lui ha aperto l'ago e ha acceso la macchinetta. quel rumore mi era sembrato piuttosto inquietante. 
"farà male?"
"dipende da te."
"in che senso?"
"nel senso che siamo tutti diversi e il dolore anche è una cosa soggettiva."
"perfetto. quindi farà male."
"non è detto."
"ok, fai piano però."
lui rideva. questa tontolona chiedeva di fare piano. ma i tatuaggi in un modo solo si fanno: l'ago entra nella pelle e infila l'inchiostro in fondo, in modo che non si possa cancellare. fine del discorso. 
dopo un paio di minuti però mi era venuto il dubbio.
"hai cominciato?"
"certo, e da un bel po'."
"ah."
non sentivo niente. solo il ronzio della macchinetta nelle orecchie e un leggero solletico sulla spalla. come se qualcuno mi stesse, non so, accarezzando. dopo poco però era finito. non ci voleva molto, era piccolo.
"fatto."
"già fatto?"
"certo."
"sicuro?"
"si."
"continua!"
lui rideva. devo essergli sembrata proprio una scema totale. poi però aveva ripreso la macchinetta. 
"ci vuoi le sfumature?"
"si!"
finisce il lavoro. 
"adesso te lo firmo"
e mi guarda negli occhi. sapete quando nei libri leggete che la protagonista ebbe un tuffo al cuore ? beh, per me fu esattamente così. ci fu uno strano scambio di organi vitali. lo stomaco nella testa, il cuore nella pancia, il cervello sembrava dissolto. 
"firmalo se vuoi"
non diceva sul serio. non mi avrebbe mai firmato la pelle col suo nome, in modo che ci rimanesse scritto per sempre. e io ero consapevole del rischio. ma in quel momento non mi importava. quegli occhi, quelle mani. era magnetico. la sua vicinanza mi faceva sentire ubriaca.  stupida.
la nostra storia d'amore si consumò in un paio di giorni. 
la sera stessa ci baciammo. il pretesto fu la mia testata a una serranda mezza chiusa (la solita maldestra che fa figuracce).
poi passammo circa 5 ore di seguito a parlare di tutto, ignorando il resto del mondo. che, ovviamente, lo faceva apposta a lasciarci soli. 
in questi casi è sempre tutto calcolato dagli altri. 
poi la notte rimanemmo insieme. sparsi in giro per il corpo ne aveva molti altri di tatuaggi. 
e la mattina. tutta la giornata gli feci compagnia al chiosco dove lavorava. vedendo tutti quelli che gli passavano sotto le mani, e si fidavano di lui. poi la sera, finchè non arrivò il momento. quando io dovevo partire. 
fu un colpo. 
lasciarlo, così. senza sapere se ci saremmo mai rivisti. 
e il tatuaggio me lo regalò. 
volevo sposarlo e farci dei bambini. subito. 
che follia. ma ci credevo sul serio. io lo volevo veramente. con ogni fibra del mio corpo.
se avessi potuto sarei rimasta. sarei ripartita il giorno dopo. non sarei per niente tornata a casa. non mi importava il posto se potevo essere felice.
passammo due settimane a sentirci al telefono, tre volte al giorno. poi lui scomparse. 
feci di tutto per recuperarlo, ma niente. 
niente. 
non riuscii a smettere di credere che potevamo essere felici insieme per tutta la vita per una buona manciata di mesi. parlando di lui continuamente. 
due giorni mi ci erano voluti per innamorarmi. perdutamente e follemente. 
una pazza. 
fortuna che poi ce l'ho fatta a dimenticarlo.
adesso ha un figlio. con un'altra. sarda come lui. sono felici. molto. 
e io continuo ad andarmi a fare tatuaggi da lui. anche se in fondo non è così facile. 

giovedì 22 aprile 2010

Beware of Musicians!

la gestazione di un disco è una cosa complicata. e trovarcisi coinvolti lo è ancora di più. 
perchè, volenti o nolenti, quando si è a stretto contatto con un musicista, si tende a rimanere offesi dall'evento. almeno un po'. 
la cosa principale da capire è che, per un musicista, o preteso tale, la musica è -ovviamente- la prima (e a volte unica) cosa della propria vita. 
sarà la sua prima preoccupazione, la sua prima esigenza, il suo primo bisogno, il suo amore primo su tutti gli altri. 
perchè non è solo una passione: è una vera e propria patologia. o potrebbe essere la vita stessa. 
quando un musicista decide di fare un disco, è meglio mettersi il cuore in pace. lo farà diventare una necessità, una questione di vita o di morte.
condizionerà i suoi impegni, il suo umore, le sue esigenze. qualsiasi cosa. 
perchè un musicista (e attenzione: non è importante aver studiato per essere musicisti, è importante il posto che la musica - o meglio: il fare musica, occupi nella vita dell'elemento) dal momento in cui si scopre tale, sposa la musica completamente e la ama senza remore e senza distrazioni. (cosa che neanche con una persona sarebbe in grado di fare)
quindi, dopo aver sposato la musica, vorrà dei figli da lei. 
ecco. un disco è come un figlio. 
si concepisce ed ha una vera e propria gestazione. che certamente non è come quella di un figlio umano. 
la gestazione di un disco può essere molto breve, ma anche molto lunga. 
e i problemi arrivano proprio in questo caso. 
perchè nel prolungamento della cosa, ci sarà comunque ad un punto di svolta, in cui appariranno due opzioni:
a) l'aborto
b) il cesareo
e non è facile stabilire quale delle due sia peggiore. 
la prima è pericolosa: crolla tutto. 
crolla il lavoro di mesi -a volte di anni- e ci si ritrova fra le mani un mucchio di tempo sprecato e un quantitativo corrispondente di frustrazione. 
risultato? malcontento. parecchio. 
e non si ripercuote solo sul musicista stesso, ma provoca l'incazzatura di chi, povero umano, ha dovuto subire tutto ciò che la gestazione ha comportato. 
per la serie: "e adesso, dopo tutto questo tempo che gli hai dedicato, decidi di lasciar perdere? dopo tutto quello che mi hai fatto passare perchè dovevi starci dietro? ti odio." e affini. 
opzione b): il cesareo. si presenta quando si decide che, a un certo punto, questa nascita diventi assolutamente necessaria. 
e qui vengono i veri problemi. perchè subentrano la fretta, l'ansia, le scadenze, i tempi stretti...
e il suddetto musicista sarà ASSOLUTAMENTE assorbito dal suo lavoro. 
e quando dico assolutamente, intendo: davvero in modo assoluto. cioè, si parla sul serio di OGNI fibra del suo corpo e OGNI neurone del suo cervello. 
non troverà tempo di pensare al resto.
non troverà modo di pensare a tutto il resto.
non troverà motivo di pensare al resto globale. 
insomma: se avete a che fare con un musicista, si dimenticherà completamente di voi.
sparirete dalla faccia della terra. sarete morti. anzi no: sarà come se non foste mai nati. 
e attenzione, perchè se glielo farete notare, risorgendo dalla polvere in cui verrete automaticamente sommersi, vi risponderà che assolutamente NON E' VERO, e che vi siete INVENTATI TUTTO, o che vi state facendo DELLE PARANOIE e che in più, LO SAPEVATE GIA' che sarebbe andata così perchè VI AVEVA AVVERTITO. 
ok. allora.
togliendo il fatto che quest'ultima affermazione è già di per sé un'ammissione di colpa, io ci posso anche stare. 
è solo che...beh...non è proprio semplice sentirsi ignorati e inutili...insomma ecco...magari uno non vuole rompere le scatole, né togliere del tempo utile...però ecco...come dire...è...quantomeno SPIACEVOLE. 
e tu lo sai che ti senti solo. ma loro non se ne renderanno MAI conto. 
e poi, dico: pensate che un disco sia solo musica e parole?
ahahahahahhahaah *ride a crepapelle*
poveri stolti. 
un disco è: registrare, scrivere, trovare le collaborazioni, contattare gente, fatica, procurarsi la musica, suonarla, missaggio (di musica e voce -separatamente-), fatica, mastering, fotografie, grafica, fatica, produzione, idee, titolo, fatica, libretto, stampa, SIAE, fatica, soldi, tanti, tanti soldi, packaging, centrino, spedizione, fatica, ricezione, distribuzione, vendita e TANTA, TANTA, aiutatemi a dire TANTA PAZIENZA. e non solo.
ecco perchè il musicista è completamente assorbito. ecco perchè non vi calcolerà. ecco perchè sarete l'ultima cosa della sua vita. 
insomma: è PURA FOLLIA. 
e lo so, LO SO, che voi lo amerete lo stesso. 
però poi, non dite che non vi avevo avvertito.

mercoledì 14 aprile 2010

scary movies

l'altra notte ho fatto un sogno tremendo. parlavano in spagnolo. c'erano un sacco di morti.
io capivo tutto quello che dicevano. per fortuna che era solo un sogno.
l'altroieri ero in un pub a cercare di non pensare. chiacchierando con due persone conosciute da poco, cercavamo di capire cos'è che fa paura di un film horror. 
perchè io i film horror non li guardo.
ho paura. 
e di che?
e allora ho pensato: cazzo, questa è un'ottima domanda.
cos'è che di un film horror fa paura?
i corridoi bui? mah, potenzialmente no. sai che non dovresti entrarci e ci entri. sai che alla fine c'è qualcosa di terribile, ma ci vai lo stesso. insomma: lo sai.
gli zombie? mah, volendo anche no: lo sai che sono esseri già morti che camminano e se ti mordono diventi come loro. lo sai.
i morti? insomma. sai che potrebbero risvegliarsi per farti paura, quindi sei preparato. lo sai.
i mostri/assassini/psicopatici? non credo. sai che sono cattivi e che faranno sicuramente del male. lo sai.
le cose che spuntano all'improvviso? di solito quando c'è una situazione del genere, lo si capisce, si è già preparati. eppure io salto lo stesso sulla sedia. però non è che ho paura. è solo il colpo che mi prendo. 
l'ansia? beh. l'ansia è una cosa che fa da contorno e da base ai film horror, quindi è condizione necessaria e sufficiente perchè esistano. altrimenti è inutile.
e quindi: che cos'è che fa paura di un film horror? 
il film è un film e a te non ti può fare nulla perchè è dentro il televisore. da che mondo è mondo, le cose che sono dentro il televisore non escono fuori. (e lasciamo perdere il 3D che è un altro discorso)
in ogni caso è un film. quindi girato da attori. che sono persone normali. più o meno. 
in più è un'opera di fantasia. quasi sempre. quindi si sa, a prescindere, che le cose che si vedranno sono inventate. perciò: non sono vere. e questo significa che non esistono nella realtà. nessuno di quei mostri verrà a minacciarti/morderti/spaventarti/ucciderti/dilaniarti/mangiarti quando sei solo. 
voglio dire: ci sono molte più cose nel mondo che fanno paura.
assassini veri.
mafia.
ladri che entrano in casa.
stupratori.
malattie incurabili. 
politici.
molti sono intorno a noi e nemmeno lo sappiamo. però andiamo in giro lo stesso da soli e indisturbati di giorno e di notte convinti che non ci succederà niente. 
eppure io ho paura di guardarmi un film horror.
ridicolo, no?
però poi mi è venuto in mente questo: io sono una persona suscettibile. attenzione: NON facilmente influenzabile, ma suscettibile. il che vuol dire che mi spavento facilmente. 
d'accordo.
se io vedo un film horror poi le immagini mi rimangono impresse nella mente.
se io vedo un film horror mi torna in mente quello che ho visto e mi viene l'impressione che possa spuntarmi vicino, o dietro, o sotto, o di fronte, da un momento all'altro.
io credo sia la suggestione che crea. l'impressione della minaccia imminente anche dopo che il film è finito. chissà.
ancora non me lo spiego che sono grande e grossa e mi rifiuto ancora di andarmi a vedere cose tipo "l'enigmista" o salcazzo cosa. 
in fondo perchè, se so che è finto e non può esistere?
come quando in "the ring" (si, mi hanno costretto a vederlo) si accende la tv da sola con il rumore bianco e l'immagine classica della tv scollegata dall'antenna, ed esce fuori la bambina dal televisore per venire ad ammazzarti. 
a chi mai è successo che il televisore si accendesse da solo in quel modo mantenendo l'immagine col rumore bianco?


a me. 
qualche tempo fa.
ve lo giuro. 

venerdì 2 aprile 2010

Una Piccola Incomprensione

Il loro era stato un grande amore.
Era nato all'improvviso, era scoppiato come un fuoco d'artificio, si era consumato come un fuoco alimentato dalla benzina, ed aveva lasciato tante scintille dietro di sè. 
Da un po’ di tempo però, le cose avevano preso una strana piega.
Ad un tratto avevano smesso di sorridersi, poi di toccarsi, poi di stare vicini e adesso non si parlavano quasi più. E ogni volta che si vedevano era sofferenza.
Purtroppo la legge che “tutto finisce” è vera, e tante storie non sono destinate a durare in eterno.
Ma questo a lui proprio non andava giù. Amava lei, era tutta la sua vita, e non capiva perché, all’improvviso, aveva cominciato a crollargli il mondo addosso, creando una voragine sotto i suoi piedi. E mentre lui non sapeva più dove camminare e come ripararsi, lei invece sembrava solo indifferente.
Mentre soffriva, i tentativi di aggiustare le cose erano diventati sempre più difficili. Lui aveva cercato di raggiungerla, in tutti i modi. Ma sembrava che davanti a lei ci fosse un muro trasparente dove ogni cosa rimbalzava, tornando indietro. Gli aveva chiuso ogni accesso. Finché poi, tutto si era ridotto a nient’altro che sguardi. 
Si guardavano, senza parlare. Senza sapere cosa dire. Senza sapere perchè dirlo.
Un giorno poi, lei aveva finalmente detto: - sento che i nostri cuori non sono più vicini. Dobbiamo separarci.
Proprio in quel momento lui ebbe un'illuminazione. 
Come era stato possibile non pensarci prima? Tutti sanno che le cose si risolvono parlando. Se lo avessero fatto prima, se avessero subito trovato le parole giuste, magari non sarebbero arrivati a delle estreme conclusioni per una sola, piccola, incomprensione.
Ma adesso questo non importava, perché lui aveva capito cosa avrebbe dovuto fare. 
E disse:- non ti preoccupare amore mio, so qual è la soluzione.
Così nello stupore di lei, la prese per mano e la portò in cucina. Estrasse da un cassetto un grosso coltello e se lo puntò contro. Si aprì il petto così velocemente che lei non ebbe nemmeno il tempo di muoversi.
Da quella cavità scura, prese il suo cuore, caldo e pulsante.  Quello che, da solo, poteva esprimerle e mostrarle tutto il suo amore per lei. Bastava così poco, e lui non ci aveva mai pensato. E con un sorriso glielo porse dicendo: - è per te. Potrai tenerlo vicino quanto più lo desideri.