C’è un sacco di gente che scrive le famose “5 cose a caso su di me”
Oppure, “5 cose che non sapete di me.”
Tutto un po’ per la serie: #esticazzi.
Occhei.
L’altro giorno pensavo che un post di presentazione non l’ho mai fatto.
Tutto perché queste cose ti vengono in mente sempre dopo.
-Del tipo: incontri uno/una per la prima volta e vi dovete conoscere. La maggior parte delle volte vuoi dare la migliore impressione di te e quindi pensi a tutte le cose fiche che hai fatto o alle cose più fiche che ti rappresentano.
Puntualmente, quando ci si ritrova a parlare di sé in queste situazioni, vengono in mente sempre le peggiori stronzate. Poi, nel viaggio di ritorno verso casa, ti sbatti una mano sulla fronte e dici: «cazzo, non ho detto questa cosa fichissima che avrei potuto dire!» il tutto, rigorosamente, parlando da soli.-
Ecco, io sono assolutamente così. E mi piace l’idea di avere un milione di possibilità di dire delle cose fiche a proposito di me.
Ebbene: parlare di me stessa in termini fichi è molto difficile.
(Per chi conoscesse già le #cosedatuna sa bene di cosa parlo. Per chi no, provvederò presto a realizzarne un estratto, tanto per dilettarvi un po’, permettendovi di ridere di me. Come al solito, dopotutto).
Ma in fondo, perché non provare a dilettarvi lo stesso?
E siccome, lo ripeto: questo è il blog mio, e lo gestisco io e faccio come dico io, ci scrivo quello che mi pare e così sia.
Per questo, partiamo con la seconda collana di blog a 5 puntate. Così, tanto per torturarvi ulteriormente.
(e fu così che perse tutti i lettori)
Ma andiamo con ordine.
1- Autostima.
Parliamo di lei. Dell’incriminata. Dell’illustre assente. Della quasi sconosciuta.
Parliamo di lei. Dell’incriminata. Dell’illustre assente. Della quasi sconosciuta.
Sì. Io ho problemi di autostima. (ma và?)
A partire dal mio aspetto fisico, per finire a quello psichico.
Perché vi sto dicendo una cosa del genere?
Ma insomma, vi devo spiegare sempre tutto? Dài, è risaputo che chi è insicuro tende a mettere sé stesso al centro dell’attenzione e a parlare spesso di sé. Che è una specie di controsenso, ma tant’è…
Detto questo, possiamo andare avanti.
Il mio problema di autostima risale ai tempi delle elementari. E viggiuro, che mi ricordo come se fosse adesso il momento preciso in cui ho cominciato a soffrire i complessi di inferiorità.
Vi racconto una storia.
La piccola Apple (immaginatevela con un caschettone di capelli lisci e castani a cuccumella, due occhioni acquosi e verdi, e il proverbiale moccio al naso), faceva parte di una piccola classe molto poco numerosa. Suddetta classe elementare, si componeva di 6 femminucce e 5 maschietti.
Come si sa, i maschietti sono sempre un po’ più lenti ad apprendere, rispetto alle femminucce.
Nella classe della piccola Apple, in più, le femminucce erano particolarmente svelte e perspicaci, tanto che la maestra aveva soprannominato le migliori “le quattro Speedy Gonzales”. La nostra cara Apple faceva parte del gruppetto ma era, ahimè, la più scarsina. Data la sua chiusura e timidezza, arrivava sempre un secondo dopo delle altre a capire le cose (sebbene fosse comunque un secondo avanti ai maschietti), e questo le provocava una cosa nuova di cui non aveva mai conosciuto nemmeno il nome, e di cui conobbe il nome molto più tardi nella sua vita, chiamata: frustrazione.
Tanta era l’ansia di non riuscire a capire in tempo le regole della grammatica. Infinito il disagio per aver bisogno di quel minuto in più per arrivare a capire le proprietà matematiche delle operazioni di calcolo. Profondo lo sforzo che la piccolina metteva in ogni cosa, aumentando di più il moccio al proprio naso.
Poi un giorno il crollo: la maestra fa un indovinello a proposito di una regola grammaticale. Presto le altre “Speedy Gonzales” comprendono la soluzione e la sussurrano all’orecchio della maestra. Ma Apple non riesce a capire. Presto anche tutti i maschietti capiscono, e anche la più lenta delle femminucce. Per la povera Apple non c’è niente da fare. L’illuminazione finalmente arriva, ma troppo tardi.
Portando con sé un orribile e precoce senso di inadeguatezza.
Da quel momento non passò giorno che la piccola Apple non si sentisse inadatta e indietro a tutti gli altri.
Cominciando a pretendere sempre più del dovuto da sé, per non percepire l’orrore del fallimento.
(per la cronaca, questa è proprio una #truestory)
Mi sono sentita
-troppo brutta («oddio, le coscione, il culone, i fianconi, i capelli lisci, gli occhi piccoli» «no, non mi metterò mai una gonna!» «no! Non indosserò mai pantaloni attillati!» «sono troppo alta, sono troppo goffa, sono troppo grassa» eccetera eccetera)
-Troppo inadatta («mi fate tutti schifo. Il mondo non mi capirà mai. Nessuno sa come mi sento. Buhuuuu! (pianto disperato)»)
-Troppo poco capace («questo non lo so fare, questo non mi viene, non ci provo nemmeno tanto non ci riuscirei»)
-Senza speranze. ( «hanno detto che non lo so fare, mi rassegno»)
E ho sofferto tanta, tanta solitudine.
Finché un giorno non ho capito la formula magica: “ama te stesso e gli altri ti ameranno”
Oh, cazzo: è vero!
Da quel momento la vita ha ricominciato un po’ a sorridere.
Ma non ho mai dimenticato gli anni bui dell’adolescenza e quelli un po’ grigiolini dell’infanzia. *appoggia il dorso della mano sulla fronte e getta la testa indietro con fare da diva, che compiange i tempi andati.
Ho scoperto di essere innamorata della persona che nascondo sotto questa armatura da Tonna, e vi dirò: non è niente male. Stiamo molto bene insieme. Ci godiamo la vita. A volte non siamo d’accordo su certe cose, ma dopo aver litigato facciamo sempre la pace.
Il nostro amore è profondo, durerà.
E, pensate un po’: abbiamo scoperto che, dopotutto, qualche capacità ce l’abbiamo. E che gli altri riescono pure a volerci bene.
Fico, no?